di Annalisa Ippolito

Il mandala rappresenta un’emanazione della divinità cui è dedicato.
Questa immagine originaria del Tibet, datata al XVIII secolo, appartenente al lignaggio Sakyamuni e conservata al Rubin Museum, non fa eccezione. Però è un raro esempio di mandala allegorico, in cui tutti i riferimenti alle divinità sono costituiti dai loro emblemi e dai loro simboli.
Al centro di questo mandala le due divinità Yama Dharmaraja e la sua consorte Chamundi sono rappresentate rispettivamente dal vajra bastone e dal lazo lui, mentre lei dal tridente e una teschio-coppa, alle loro spalle il disco del sole e ai loro piedi il trono del loto.
Intorno gli otto petali del loto, stilizzati come fossero punte di lancia, contengono al centro otto dischi bianchi, con i simboli degli otto aiutanti principali. Andando verso l’esterno, anche le quattro porte hanno ciascuna un simbolo a ricordare i quattro guardiani . I giardini interni invece hanno i quattro colori consueti con la differenza che il bianco prende il posto del blu, un richiamo alle famiglie dei cinque Buddha. Un altro aspetto inconsueto è il fatto che le mura siano circolari e formano un cerchio, i dettagli rivelano altre rarità, il primo muro esterno è costituito da una miriade di teschi bianchi, segito dall’oceano di sangue, e dalla cintura con gli otto ossari o cimiteri a intervallare le fiamme del Dharma della conoscenza. L’ultimo cerchio è la cintura del fuoco che simbolicamente brucia l’ignoranza e l’oscurantismo della mente in favore della purificazione che può accogliere la conoscenza.
Il fine di questo mandala è quello di proteggere la mente e l’anima di chi medita indicando la via per una consapevole conoscenza.

photo: Mandala of Yama Dharmaraja, Buddhist Protector