Massimo Diosono e’ un artista italiano, le cui opere manifestano una influenza mandalica e orientale, ma non solo, si legge in esse, una matrice medievale, forse dovuta all’arte della regione in cui il Nostro artista ha studiato e vissuto, l’Umbria. Le sue opere sono molto interessanti e cosi’ gli ho rivolto alcune domande sulla sua arte e il mandala.

Annalisa Ippolito: Ciao Massimo, puoi raccontarci la tua esperienza artistica e l’incontro con il mandala?
Massimo Diosono: Ciao Annalisa, prima di tutto vorrei esprimere un sincero apprezzamento verso il tuo lavoro, ho letto con attenzione le interviste alle persone ospitate prima di me e questa possibilità di poter parlare del nostro lavoro, e di condividerlo, è una cosa che mi piace molto, e di cui ti ringrazio.

Mi sono diplomato all’Accademia di Belle Arti di Perugia, dove, grazie all’incontro con persone illuminate e non, ho cominciato ad indagare e capire quali erano le coordinate dove muovermi, a conoscere me stesso, a perdermi nella moltitudine dei codici espressivi, soprattutto, a capire il valore del fare…secondo me, fare è conoscere. Sun-Tzu diceva: “ la mappa non è il territorio”, per conoscere un territorio dobbiamo attraversarlo, non guardarlo. Ho visto me stesso come un territorio da esplorare e da conoscere e l’arte, (ovviamente non parlo solo di arte figurativa ma anche di musica, letteratura, poesia, etc.) è il mezzo di cui mi servo per questa esplorazione. Ovviamente, all’interno di tutto questo, non poteva mancare il mandala.

Annalisa: Ricordi il primo mandala che hai visto?
Massimo: In realtà prima di arrivare al mandala ho studiato con molta attenzione i simboli: Cerchio, quadrato, croce, triangolo. Lo studio approfondito delle forme prime e del loro valore universale, radicato all’interno di ognuno di noi, ha avuto, per me, un valore importante. E’ una forma comunicativa che va al di là della cultura e delle differenze, agisce nello strato più profondo dell’essere, è quello che, molto giustamente, Jung definiva “inconscio collettivo”. Il simbolo ha una potenza comunicativa che deriva dal suo essere “intatto“, è sempre uguale, ma, contemporaneamente, sempre diverso.
Nonostante le differenze che caratterizzano l’uomo ed il suo percorso, il simbolo trova sempre la sua strada all’interno di ciascuno di noi, lavora. Qualche volta a livello cosciente, il più delle volte a livello inconscio, entrando in relazione con la nostra energia più profonda. Ognuno di noi interagisce con il simbolo quotidianamente, pensate alle forme delle città, delle chiese, delle nostre case. Cerchi, croci, quadrati, sono gli elementi che, nella geometria, hanno misurato l’habitat materiale dell’uomo, quando trascendono, ne misurano l’habitat spirituale. Pensate alle chiese, alla luce che filtra dai rosoni, alle loro piante a forma di croce o circolari, è una deambulazione che unisce i due livelli, materiale e spirituale. Il primo mandala l’ho visto in un testo di filosofia orientale, era un mandala di kalachakra, non di sabbia, ma dipinto. L’impatto fu enorme, conteneva tutti i simboli, era complesso ma semplice allo stesso tempo. Mi colpì nel profondo, fu pura emozione…ovviamente ho voluto saperne di più, e ho cominciato a studiare.
Fu uno scatto in avanti considerevole, lavorare con i simboli singolarmente era stato come assemblare una macchina, con il mandala era sedersi al posto di guida e partire. Ogni cosa era al suo posto, dove doveva essere, e partecipava ad una armonia celeste, il microcosmo umano finalmente dialogava con il macrocosmo celeste, equilibrio ed energia, forza e saggezza.

A: Le tue opere, che ho avuto modo di ammirare, esprimono una forte impronta “mandalica”, come sei arrivato a questo tipo di progetto artistico?
M: La mia ricerca artistica si sviluppa sul concetto d’impermanenza, i materiali che prediligo, oltre alla pittura, sono le sabbie, la cenere, l’ovatta. Per quello che riguarda la mia pittura, l’impronta “mandalica“ come tu giustamente la definisci, è molto forte e presente. Per quanto mi riguarda quando dipingo i miei mandala è come prendere un’ascensore che mi porta al centro di me stesso dove c’è il mio “hara”, e da lì, comincio a costruirli. Avevo bisogno di una forma che fosse personale, ma universale allo stesso tempo, ed il mandala mi sembra la più adatta a comunicare in modo potente e diretto l’essenza dell’esecutore, che non è diversa dall’essenza dell’osservatore, tant’è che spessissimo risuonano l’uno nell’altro. Soprattutto arriva al “cuore“, sull’onda di una tradizione millenaria composta da migliaia di mandala eseguiti nei modi e nei luoghi più disparati, ma capaci, nello stesso tempo, di travalicare tempo, luogo e storia, esattamente come fa (o dovrebbe fare) un’opera d’arte. Trovo che abbia una complessità di significati che si manifesta a diversi livelli, tutti importanti. Ognuno li può “leggere“ a seconda della sua ricettività e preparazione, non si esaurisce mai. Restituisce una gamma di letture ed emozioni infinite e tutto questo, continua ad affascinarmi. Debbo aggiungere che i mandala, almeno i miei, “scelgono“ il loro pubblico, ho notato che un certo tipo di opere non sono per tutti, la maggior parte delle persone si ferma ad una lettura puramente decorativa, senza approfondire, ma va comunque bene.

A: Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
M: Non so bene cosa intendi per modelli di riferimento, quello che ti posso dire è che studio in modo molto approfondito il confronto filosofico oriente-occidente, da Sant’Agostino a Meister Eckhart, dalla filosofia greca a quella tedesca, dai Veda alle Upanishad, allo Shobogenzo, alla pratica delle arti marziali, nel mio caso il Karate Shotokan allo Shodo. Mi interessa molto lo scambio tra le diverse culture, trovare l’unità nella (apparente) frammentarietà. Tutto è collegato e in relazione, come le forme, i materiali e i colori che costituiscono il mandala. Dovremmo entrare in rapporto con questa energia che unisce, non che separa. Per quello che riguarda l’arte contemporanea, sono molto affascinato da artisti che lavorano sull’idea di mutamento, d’impermanenza, sul fluire continuo dell’energia, sull’armonia con sé stessi e con la natura che ci circonda , come ad esempio Andy Goldsworthy, Nils Udo, Walter De Maria, Richard Long, Giuliano Mauri. Questi artisti lavorano con materiali deperibili raccolti all’interno dell’ambiente naturale, con opere che possono durare un’ora, un giorno, un mese o un anno. Trovo molte similitudini con la realizzazione dei mandala di sabbia ad opera dei monaci tibetani. Terminata l’opera, spesso un lavoro di giorni e giorni, di estrema precisione e bellezza, viene dispersa in un corso d’acqua. L’opera viene restituita alla natura, attraverso un ciclo che mai si ferma. Le cose non si perdono, si trasformano e ritornano in altre forme.

A: Ti sei cimentato direttamente con questa forma d’arte o hai creato anche mandala tradizionali?
M: Io vedo il mandala come uno strumento che ci pone in relazione con la parte più profonda del nostro essere e che, attraverso la sua contemplazione, ci mette in comunicazione con gli altri. Di conseguenza il metodo di costruzione è fedele ai mandala tradizionali, ovvero dal centro (bindu) verso l’esterno, sia per quello che riguarda i mandala pittorici, che quelli realizzati con le sabbie e la cenere. Dopo aver studiato attentamente il significato simbolico delle forme e dei colori che li costituiscono, ho trasceso senso e significato creando i miei. I mandala tradizionali sono un’importante veicolo di conoscenza, tutti quelli che vedo, ma quello che mi intriga maggiormente è vedere come ogni persona realizza il suo, che in definitiva, a saperlo leggere rappresenta quella persona meglio di mille parole o discorsi. Nella forma e nel colore c’è tutto, senza intermediari. Ognuno di noi si definisce attraverso gli strumenti che ha a disposizione, bisogna sperimentare, senza paura.

A: Hai usato qualche modello di mandala in particolare da cui trarre ispirazione?
M: Non ho modelli particolari da cui trarre ispirazione, se non le forme date, necessarie alla sua costruzione. La cosa affascinante è che, in migliaia di anni, nonostante le forme siano le stesse, non si registrano due mandala uguali. Come in natura non vi è nulla di identico così è nel mandala, dove le persone realizzano e definiscono sé stesse attraverso forme e colori, partecipando ad uno scambio universale con la natura e la sua immensa energia, ognuno a suo modo e maniera. La maggior fonte di ispirazione siamo noi stessi, nel profondo è come abbeverarsi ad una fonte d’acqua sempre limpida e fresca.

A: Spesso il percorso e lo stile di un artista cambiano, maturano altri interessi, ho riscontrato anche influenze medievali e dell’estremo oriente nelle tue opere, e’ cosi’?
M: Nel mio lavoro cerco sempre il fluire dell’energia come delle idee, credo che l’essere in ricezione sia una condizione fondamentale, come lo è soprattutto l’elaborazione degli stimoli che riceviamo, di ciò che vediamo. Ognuno di noi, indipendentemente da ciò che fa, dovrebbe cercare di dare una risposta individuale, frutto dell’elaborazione personale di stimoli e idee. Uso molti materiali diversi, che rispondono sempre ad una esigenza di poetica e di ricerca, mai fine a sé stessi. Le influenze, specie in una forma universale ed archetipica come il mandala sono numerose, poiché come dicevo prima, si parte da forme date, presenti e comuni in tutte le culture (cerchio, quadrato, etc.). La ricchezza del mandala risiede nella sua universalità di significato che travalica tempo, forma e cultura diventando un vero contenitore dell’essenza della cultura che lo produce. Quindi è possibile l’influenza medievale, anche se io guardo con più interesse alla filosofia orientale, ma, come dicevamo, in un unicum di significato che tutto avvolge e che con tutto dialoga, non è poi così importante, più importante è il fluire dell’energia da una cultura ad un’altra.

A: Quali sono ora i tuoi progetti per il futuro? Hai altri “mandala” in cantiere?
M: Cerco di non pensare al futuro (per quanto possibile…) preferisco concentrarmi nel presente, e, cercare di costruire il futuro partendo da qui…concordo con la filosofia dell’I Ching, che sostiene che nel momento presente ci sia tutto, passato, presente e futuro. Mi piacerebbe molto acquisire questa consapevolezza, e, per quanto mi è possibile, lavoro per questo. A parte le divagazioni filosofiche, continuerò a studiare e a lavorare, in una condizione di ricettività che spero, mi consentirà di restituire ed elaborare al meglio il mio stare e partecipare al mondo e a tutto ciò che comporta essere qui. Per quello che riguarda i mandala, il mio è un cantiere sempre aperto. Al momento oltre a quelli pittorici mi sto concentrando sulla realizzazione di mandala ambientali, realizzati esclusivamente con materiali naturali che, quando va bene, durano lo spazio dell’esposizione e non prevedono alcuna protezione particolare. Essendo esposti alle intemperie umane ed ambientali non si sa mai quanto dureranno, ma non è questa forse la grande domanda ed il grande fascino che riguarda noi stessi e tutte le nostre manifestazioni?

Per saperne di piu’ e contattare l’artista:
www.massimodiosono.it
massimodiosono@gmail.com

pubblicato 11 mar 2013 su www.mandalaweb.info
http://www.mandalaweb.info/persone-e-mandala/imandaladimassimodiosono