di Annalisa Ippolito

L’opera di Alberto Gianfreda mi ricorda un passaggio interessante e importante del Grande Ciclo del Mandala di Susanne Fincher, la frammentazione.

Ne ho paralto in “Morrigan la mutaforma tra mito della morte e Great Round Mandala” .

La frantumanza però indica qualcosa di rotto e in disordine, il dolore per qualcosa che si aveva e ora non si ha più. Il caos dello scompiglio, della crisi della perdita di armonia, sono ben rappresentati dall’idea di frantumi e cocci rotti. Però l’opera di Gianfreda mi fa pensare al passo successivo: la ricostruzione. Rimettere le cose in ordine dando un nuovo assetto, creando qualcosa di diverso corrisponde ad un agire, una spinta che rimette in moto le energie suggerendo rielaborazioni di nuovi equilibri.
Certo i pezzi non sono perfetti e riflettono le mille sfumature e le direzioni delle scelte fatte, i rimpianti, i ricordi e i progetti, ma tutto trova uno spazio e una collocazione diversa, nuova, sicuramente adatta al nostro momento storico interiore. Una nuova armonia ci accoglie.
Se da una parte la frantumanza, racconta di un dolore e di un’anima in mille pezzi, dall’altra ci racconta la capacità di resistere e di ricostruirsi consapevoli che nulla è eterno, nè la bellezza, nè il caos.
Aggiungere nuove prospettive e uno sguardo aggiornato sulle difficoltà che altrimenti ci paralizzano non è una cosa semplice, ma è possibile provarci.

Immagine: Alberto Gianfreda, Effimera, 2020